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Intervista a Lisa Rosamilia

Oggi abbiamo il piacere di intervistare Lisa RosaMilia, coreografa e danzatrice, costumista, pittrice e scenografa, fondatrice della compagnia Teatro danza Matroos. Partendo dalla danza, tuo principale mezzo di espressione, da dove nasce il tuo bisogno di indagare e far coesistere diversi linguaggi artistici? 

Il mio percorso trae linfa da una duplice formazione: da una parte la danza che studio da quando sono bambina, che rappresenta la mia anima più dinamica e l’azione del corpo nello spazio, dall’altra i miei studi in pittura all’Accademia di Belle Arti, che invece hanno alimentato la mia parte più riflessiva e creativa, il mio corpo interiore potremmo dire, e tutto l’aspetto di ricerca sulla materia che ho tradotto nelle installazioni scenografiche. La mia visione artistica è stata ovviamente influenzata da questa formazione ‘bipolare’, e per me è stato naturale fondere le due arti in un unico progetto creativo, creando scenografie come estensione del mio corpo, stabilendo una relazione con la vitalità dei materiali, è così che nel 2005 è nata Matroos DanceTheatre Company, che ad oggi ha portato in scena più di trenta spettacoli in Italia e all’estero. Il resto è venuto da sé, nel mio mondo ci si incrocia continuamente con bravissimi musicisti, registi, videomaker, scrittori, diventa inevitabile intrecciare le arti fra di loro. L’arte contemporanea oggi deve necessariamente essere il più trasversale possibile e uscire dal vincolo dei generi se vuole farsi avanguardia. 

“Shipwreck” è uno dei tuoi ultimi spettacoli,si parla di un naufragio, il tema è molto attuale e da luogo a svariate riflessioni; esistenziali, sociali e culturali. Ce ne vuoi parlare? 

Quando ho scritto “Shipwreck” non immaginavo tutto quello che sarebbe successo poi, e che rende questo spettacolo ancora più attuale. Il progetto parla del nostro mondo contemporaneo, un mondo che affonda e naufraga, un naufragio sociale e politico collettivo di anime e corpi. Riciclando otto vecchie porte-finestre, le ho assemblate insieme creando una struttura mobile in grado di ridisegnare lo spazio e la sua stessa forma, diventando di volta in volta un relitto sulle onde del mare, una gabbia di respiri, una zona di confine, un muro, un molo, un porto aperto, un porto chiuso. La ‘finestra’ è un oggetto scenico che utilizzo spesso nei miei progetti per i suoi stimoli metaforici e per le fascinazioni architettoniche che suggerisce alla danza. “Shipwreck” è un lavoro necessario a cui tengo davvero tanto, anche perché è molto diverso rispetto alle mie precedenti produzioni. Ho elaborato una complessa partitura coreografica, dove si coordinano corpo, parola e modulazione della scenografia. In scena ci saranno quattro meravigliose danzatrici/attrici che abbiamo selezionato lo scorso inverno attraverso un’audizione. Il musicista e videomaker Daniele Casolino, oltre a comporre le musiche, elaborerà un’articolata installazione di videomapping, disegnando un ulteriore dimensione leggera e virtuale, in totale contrasto con il peso materico delle vecchie porte-finestre. Inoltre ci sarà un testo particolarmente ispirato, scritto appositamente per lo spettacolo dal drammaturgo Marco Bilanzone. E’ quindi un’opera multidisciplinare in cui danza, teatro, musica, e video si fondono insieme per creare una performance non facile da etichettare. 

Hai portato “Cute” all’estero, che sensazioni hai provato, le vorresti tradurre in spettacolo? 

“Cute” è tra i miei lavori ,quello che ha avuto più successo. Siamo partiti nel 2015 con il Premio Special Off e la Nomination alla Miglior Regia del Roma Fringe Festival, fino al The Body Language International Art Exhibition 2020 di Venezia questo febbraio prima del lockdown. Ho avuto la grandissima soddisfazione di portare spesso questo spettacolo all’estero, ed è stato motivo di grande orgoglio professionale. Ti ritrovi di fronte ad un pubblico tedesco, messicano, turco, inglese, che viene da culture e tradizioni diverse, e il riscontro sul tuo lavoro è veramente ampio. Questo è emozionante ma ti carica anche di un gran senso di responsabilità, il tuo impegno è un valore. “Cute” è stato rappresentato un po’ ovunque, in mondi molto distanti tra di loro. A Berlino per il Coffi Festival Interdisciplinary Art 2017, eravamo dentro un’ex fabbrica del 1900 in stile neo-gotico riconvertita a spazio per eventi, una situazione decisamente industriale e metropolitana; a Città del Messico per il Festival Internazionale di Danza Contemporanea 2018 invece eravamo al Teatro de La Danza Guillermina Bravo, un teatro enorme concepito esclusivamente per la danza contemporanea, qualcosa che da noi non esiste, era la prima volta che mi relazionavo con uno spazio così imponente; all’Istanbul Fringe Festival 2019, dove abbiamo ricevuto anche il sostegno dell’Istituto Italiano di Cultura, sono andata in scena presso il dipartimento di danza dell’Università di Belle Arti, uno spazio ancora diverso dai precedenti e unico nel suo genere, dove la danza si studia insieme alle arti visive e figurative. In tutte le realtà che ci hanno ospitato all’estero, oltre al confronto con tantissime compagnie internazionali, abbiamo trovato una rete di supporto al mondo dell’arte, fondi, sponsorizzazioni, organizzazioni, pubblico, e tutto questo riconosce il mestiere dell’artista. Abituati al sistema italiano, dove si assiste ad una produzione culturale sempre più ripiegata su se stessa, dove la promozione e la divulgazione del proprio lavoro faticano a trovare i canali adeguati, dove per ottenere visibilità devi essere già visibile, dove i pochi spazi di ricerca e sperimentazione artistica sono immersi nella nebbia, vivere queste esperienze dall’altra parte del mondo è qualcosa che ti ripaga di tante fatiche che spesso qui tendono ad abbatterti. 

Tutto nasce a sala 14, Cosa rappresenta per te? 

E’ il mio luogo creativo, ho cominciato lì nel 2005 con la mia prima produzione, e fra quelle mura sono nati tutti i miei primi spettacoli, ho un legame incredibile da tantissimi anni con quello spazio. Poi dal 2015, in collaborazione con le mie due socie Giada Bernardini e Laura Rosamilia, lo abbiamo preso in gestione ed è nata Sala14 – Centro di Arti Performative e Terapeutiche di Monterotondo, uno spazio di ricerca, studio e formazione. E’ lo spazio in cui mi nutro e do forma alla mia professione, creo e provo i miei spettacoli, lavoro sulla formazione degli allievi, incontro e mi confronto con il pubblico, ospito artisti e promuovo spettacoli di ricerca. Ho avuto molte soddisfazioni negli anni, con la giovane Compagnia1.4 formata con le allieve del Laboratorio di TeatroDanza, abbiamo portato lo spettacolo “Press” al Teatro Studio Uno di Roma, e selezionati da Medialize.it con il lavoro di video danza internazionale “Closed Space/Open Place”. Sala14 è uno spazio multidisciplinare, un punto d’incontro di competenze e professionalità, in un ambiente versatile che ospita corsi e laboratori di vario genere: teatrodanza, danza contemporanea, movimento creativo per bambini, danza aerea, musica in fasce, propedeutica musicale, teatro, classi di bioenergetica, yoga. Abbiamo inoltre una programmazione di Stagioni Teatrali con compagnie e artisti da ogni parte d’Italia e d’Europa, lavori ricercati e sperimentali, che è stato per noi un onore ospitare. In questi anni lo spazio è stato vissuto in maniera molto intensa, le pareti e le travi di Sala14 hanno assorbito tutto questo calore, ed è un’energia che si respira tantissimo al suo interno. Abbiamo da poco ristrutturato il suo bel portone, rinfrescato gli interni, e abbiamo in programma grandi progetti per l’anno prossimo. 

Quali sono i tuoi progetti futuri? 

Spero di poter riprendere il prima possibile tutte le attività che ho dovuto interrompere, di ritrovare le allieve dal vivo, di tornare in sala prove, risalire su un palco e ripartire con la programmazione teatrale. A fine ottobre – virus permettendo! – abbiamo in programma di riprendere il Festival Gesti che avevo inaugurato tre anni fa per promuovere lavori di teatrodanza e performance, che difficilmente trovano spazi nel nostro territorio, e che vorrei fosse un momento anche per raccontare questo tempo così difficile tramite forme espressive nuove. Abbiamo indetto un bando durante il periodo di quarantena a cui hanno risposto tanti artisti da tutta Italia, e selezionato quattro interessantissimi lavori che faranno parte di “Gesti Nuovi 2020”. Poi spero di portare presto in scena “Shipwreck”, che ha già avuto il privilegio di essere stato selezionato per le semifinali del Premio Dante Cappelletti alle Arti Sceniche, ma siamo riusciti ad allestirne solo un primo studio. Sarebbe dovuto andare in scena ad aprile nella sua versione integrale, ma siamo stati costretti ad interrompere le prove per il lockdown, e cancellare le repliche in programma a Monterotondo e a Roma. Questo periodo è stato un naufragio per tutti quelli che fanno il mio mestiere, per gli artisti, per i teatri, per le scuole di formazione. Ma penso che sia anche l’occasione per ripensare il nostro lavoro, immaginare nuove forme espressive, e ricaricare di nuova vitalità la nostra arte. Dobbiamo innovarci, scendere dal palco, rompere muri, fondali, camerini, tende, sfondare i soffitti, ribaltare tutto, ridisegnare i propri spazi, cambiare la lingua, uscire dai generi e dagli stili, stabilire un nuovo rapporto con il pubblico, più confidenziale, intimo, empatico. L’arte contemporanea deve mostrare la sua natura viva e pulsante. 

www.salaquattordici.it

www.matroos.it

Foto di Antonio Giannetti

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