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[:it]Gemütlichkeit @Sala dell’Immacolata – Musica ai SS. XII Apostoli[:]

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La sera di domenica 14 maggio la Sala dell’Immacolata presso il Convento dei Ss. XII Apostoli è stata teatro di quello che forse si può considerare, a giudicare dal coinvolgimento del pubblico  – senza voler per questo approntare classifiche che nel mondo della musica risultano opinabili e lasciano il tempo che trovano – il più bello e memorabile degli appuntamenti musicali costituenti la VII Stagione Concertistica della Camera Musicale Romana. Tre sono stati i registi di questa emozionante serata musicale: due assai conosciuti al grande pubblico della musica classica, Mozart e Schumann, ed uno meno noto, Max Bruch. E tre sono stati gli attori: il violista Luca Sanzò, il clarinettista Vincenzo Isaia ed il pianista Francesco Del Fra. Il concerto era, infatti, basato su musiche per questa non comune combinazione cameristica; il repertorio che la vede protagonista è, invero, scarno, ma annovera degli autentici gioielli, quali quelli presentatici dai tre valenti musicisti.

Il concerto si è aperto con il sereno e piacevole Trio in mi bemolle maggiore K498 di Mozart, noto con il soprannome di “Trio dei birilli”, perché composto nell’estate del 1786 durante una giornata passata dal grande compositore austriaco assieme ad amici (tra cui, e forse non a caso visto l’organico strumentale, il clarinettista Gottfried von Jacquin) e, pare, proprio in concomitanza di una partita con dei birilli (la musica, ovviamente, non ha attinenza alcuna con tali oggetti!). Quasi si impone un parallelismo fra la genesi del Trio e l’atmosfera che i tre esecutori hanno saputo creare. I tre musicisti, difatti, si sono presentati non sotto un nome comune per la loro formazione, ma semplicemente con i loro nomi e cognomi. Orbene, noi non sappiamo se e quali siano i rapporti fra i maestri Sanzò, Del Fra e Isaia, ma l’impressione di complicità e rilassatezza che davano suonando e scambiandosi sguardi d’intesa portava quasi a figurarsi davanti agli occhi un altro gruppo di amici, Mozart ed i suoi amici intenti a suonare il Trio, magari alla fine di quella piacevole giornata estiva del lontano 1786.

Bisogna a proposito ricordare che questo concerto aveva una dicitura a guisa di sottotitolo: Gemütlichkeit, parola tedesca traducibile come “atmosfera di confortevolezza, intimità”. Lodiamo senza mezzi termini l’intelligenza che sta alla base della scelta di tale vocabolo da parte dei tre maestri; così come essa si adattava alle musiche mozartiane e a come sono state interpretate, altrettanto bene si adattava alle successive, Märchenerzählungen Op. 132 di Robert Schumann, poetica, suggestiva raccolta (del 1853) di quattro brani liberamente ispirati all’idea racconto di fiabe. Ispirazione, non musica a programma, come è stato detto dal Maestro Del Fra – le cui introduzioni orali alle musiche del concerto hanno corroborato l’atmosfera di Gemütlichkeit e spirito di condivisione di cui abbiamo poc’anzi scritto -, che dopo aver esposto una sua chiave di lettura ha invitato il pubblico a vedere nella musica ciò che vuole. L’esecuzione dei quattro brani ha dimostrato tutta l’abilità degli esecutori nel far confluire i timbri di tre strumenti così diversi in un unico impasto sonoro; in particolare, siamo rimasti colpiti dalla sognante bellezza del terzo brano, (il movimento lento della raccolta), dove le morbide trame dell’accompagnamento pianistico fornivano un palcoscenico dove era possibile seguire le fluide evoluzioni e gli intarsi cangianti delle melodie della viola e del clarinetto.

Se 67 anni separano il Trio di Mozart dalle schumanniane Märchenerzählungen, 57 separano, invece, queste dagli otto pezzi che costituiscono l’Opera 83 del tedesco Max Bruch (1838-1920), composte per l’appunto nel 1910. Musica del Novecento, dunque, ma non dobbiamo farci fuorviare dal dato cronologico: potremmo definire Bruch un conservatore, a suo agio nella corrente tardoromantica, in cui sono ravvisabili modelli mendelssohniani, schumanniani e brahmsiani, lontano dalle arditezze e peregrinazioni musicali che il Novecento avrebbe portato. Ad ogni modo, l’Op. 83 ha impressionato i presenti per la sua bellezza e lo spessore musicale. Quasi quaranta minuti di musica, in cui si sono alternati dolore (usiamo le parole di Del Fra), desolazione ed ombre, a volte interrotti da dolcissime luci e momenti di candore, oppure da fasi esaltanti o giocose, ma tutto sommato minoritarie. Musica che arriva dritta al cuore, e destinata a lasciare una sensazione di pessimismo e di ineluttabile disfatta in chi ascolta. Ricordiamo l’impressionante chiusura dell’ultimo brano, dove la musica si estingue lasciando, per osare un ossimoro, una bellissimo amaro in bocca; il pubblico ha cominciato ad applaudire solo dopo diversi secondi, tale era stata la forza della musica di Bruch: musica che si spenge e richiede, dopo di sé, silenzio e meditazione.

L’applauso è poi divenuto scrosciante, e in quella bella serata nel centro di Roma i tre musicisti non se la sono sentita di “lasciarvi andare via così”, come ha detto il Maestro Del Fra ben percependo il lascito della musica di Bruch negli animi del pubblico. Il concerto si è allora concluso con un apprezzatissimo e graditissimo bis, la ripetizione del terzo brano delle Märchenerzählungen.

Marco Parigi

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