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“Quell’amor ch’è palpito…” Arie e duetti nell’Opera romantica con Musiche di V. Bellini, G. Donizetti, G. Verdi @Camera Musicale Romana

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Domenica 11 giugno 2017 presso la Sala dell’Immacolata del Convento dei XII Ss. Apostoli avrà luogo il penultimo concerto della VII stagione concertistica organizzata dalla Camera Musicale Romana. Per l’occasione, verranno proposti brani operistici da opere di Bellini, Donizetti e Verdi; sul palco si esibiranno i cantanti Tiziana Guaglianone, soprano, e Allan Rizzetti, baritono, accompagnati da Stefania Ganeri al pianoforte. Abbiamo deciso di intervistare i tre artisti in merito all’imminente concerto che li vedrà protagonisti.

E’ la prima volta che vi esibite assieme nell’ambito di uno stesso evento musicale? Oppure è già accaduto?

Abbiamo già avuto occasione di cantare insieme circa un anno fa, in due importanti Gala per l’Ambasciata Italiana a Bangkok in arie e duetti da opere italiane (Bohème, Rigoletto, Traviata, Barbiere di Siviglia, Don Giovanni). La signora Ganeri è stata sia il nostro pianista preparatore (dato che il primo concerto era con la Bangkok Symphony Orchestra) sia pianista accompagnatore di un secondo concerto, tenuto al Bangkok Trade Center per l’inaugurazione della Settimana Italiana a Bangkok.

Il concerto reca il titolo “Quell’amor ch’è palpito”. Lo avete ideato voi? In caso affermativo, perché proprio tale dicitura?

Sì. IL titolo è stato ideato da noi. L’idea è nata dopo avere pensato ai brani che potevamo proporre e dare così un filo logico al programma. Ad alcuni potrebbe sembrare strano che in un programma che porta un titolo “amoroso” non ci sia un tenore, dato che i duetti d’amore vengono sempre affidati dai Compositori alle voci del soprano e del tenore. Ma nelle opere, così come specchio della vita reale, sono presenti anche altri sentimenti: nei duetti proposti in questo programma viene raccontato l’amore fraterno tra Enrico e Lucia Ashton (anche se il tema trattato ne duetto non è proprio d’amore) e l’amore paterno tra Rigoletto e Gilda. Rigoletto infatti, per amore della figlia e per vendicarla del perduto onore, arriverà addirittura a pagare un sicario per fare uccidere il Duca di Mantova. Nelle arie solistiche, sia da camera che dalle opere, emergono sentimenti d’amore verso il proprio amato, sia esso idealizzato, un amore perduto o un amore non corrisposto.

Ci sono dei criteri (e se sì, quali?) secondo cui ciascuno di voi ha selezionato i brani che proporrà?

 

Il criterio con il quale abbiamo scelto le arie che interpreteremo, a parte quello di legare, con il filo logico del tema dell’amore tre dei Compositori chiave di tutto il melodramma italiano, è stato quello di cercare brani che meglio si potessero adattare anche alla nostra formazione Musicale e sensibilità artistica. Non solo, la scelta è stata dettata anche dalla propria sensibilità personale, anche se per noi sensibilità musicale e personale sono inscindibili.

Che rapporto avete con la musica di questi tre compositori?

Da interpreti, possiamo dire che il rapporto con un Compositore del quale si possono interpretare le proprie opere, è sempre un rapporto privilegiato. In un certo senso, questo Compositore, tramite la propria Musica, ci sta aprendo i suoi sentimenti e ci dà l’occasione di dare voce alle proprie emozioni poste in musica. Nel corso della nostra carriera, abbiamo avuto modo di interpretare molte composizioni di questi tre sommi musicisti ed è sempre stato per noi motivo di grande soddisfazione.

Scendendo nello specifico tecnico, quale di questi tre compositori ha una scrittura vocale più impegnativa? Oppure è impossibile dare una risposta a tale domanda?

Questa è una domanda molto interessante che meriterebbe una risposta ben più articolata che non queste poche righe: Ogni compositore ha il proprio stile e la propria difficoltà: sia tecnica che interpretativa. Diciamo in breve che Bellini richiede un legato morbido e un suono più da strumento “con sordina”, Donizetti è una “via di mezzo” tra un Bellini e un Verdi. Richiede un bel legato ma anche una proiezione più declamata.
La “scuola di pensiero” dei giorni nostri, è quella di dire che Verdi necessità di una vocalità più corposa e quindi, si potrebbe essere portati a dire che Verdi è il compositore più impegnativo dei tre, in termini di prestazione vocale e potenza del suono. Purtroppo, infatti, a seguito di questo pensiero, si rischia di travisare lo stesso pensiero verdiano: il belcanto non significa bella musica, ma cantare correttamente, usando la voce come uno strumento, anzi.. LO strumento.

Quando si fa musica la cosa più importante è, appunto, la musica! Di sicuro, però, nel repertorio vocale anche la parola ha la sua importanza. In questo concerto risuoneranno esclusivamente versi in lingua italiana. Cantare nella propria lingua madre vi permette di concentrarvi meglio sul fattore musicale? Come vi rapportate a testi scritti in altra lingua (soprattutto nell’ipotesi che non la conosciate)?

Possiamo azzardare a dire che in questo tipo di repertorio, che poi è il fondamento del repertorio belcantistico, la parola e la musica devono andare di pari passo. Una delle prime nozioni che vengono impartite dai maestri di canto (quelli veri, non quelli improvvisati) è , infatti, quella di essere il più naturali possibili nel “cantare sulla parola” (che porta, automaticamente, a cantare correttamente sul fiato). Indubbiamente la lingua italiana, molto musicale, e nostra madrelingua, ci permette una maggiore “rilassatezza” di esecuzione, per quanto riguarda il testo.
Cantiamo in diverse lingue e sarebbe buona norma conoscere il testo di ciò che viene interpretato per dare, appunto, i giusti accenti lirici (nel senso lato del termine) alla composizione. Va da se che in composizioni scritte per esempio in tedesco, in russo oppure in greco, la concentrazione principale viene spostata sul testo.  

Seguendo la curiosità che muove la domanda precedente, ci viene da pensare che nella produzione operistica, oltre alla musica e alla parola, vige un terzo aspetto: quello teatrale, recitativo. Eseguire brani d’opera in forma di concerto permette ai cantanti una maggiore rilassatezza? Oppure, al contrario, si riesce a dare il meglio quando questa musica viene non soltanto cantata e declamata, bensì anche impersonata sul palcoscenico?

Gran bella domanda anche questa. L’esecuzione in forma di concerto “dovrebbe” assicurare all’interprete una maggiore concentrazione. Non è scontato che questo avvenga perché a volte, il contatto con il pubblico in sala, così ravvicinato e le luci in sala, non consentono una totale concentrazione e immersione nel personaggio che, per assurdo, in palcoscenico, nonostante movimenti registici, il gesto direttoriale da seguire, etc. avviene con maggiore facilità.

Leggendo il programma, vediamo che in quattro punti è previsto il solo pianoforte. Della produzione pianistica di Bellini, Donizetti e Verdi non si sa molto. Possiamo avere delle informazioni su queste composizioni?

Purtroppo si conosce poco della produzione pianistica, essendo Compositori conosciuti solo per le opere liriche. Invece, esistono numerose raccolte, soprattutto di Donizetti, per composizioni dedicate al pianoforte. Bellini ha composto anche per organo, così come Verdi. Purtroppo, il fatto di essere dei “giganti” in termini operistici, ha influito non poco all’oblio delle loro composizioni per strumenti.

Torniamo ai brani per voce. Conoscete delle interpretazioni in particolare, anche storiche, che vi sono state d’ispirazione? O invece, indipendentemente da quanto possiate apprezzarle, queste alla fine non influenzano la vostre?

Quando ci si avvicina a un nuovo compositore o a una nuova opera, la prima cosa che un vero musicista deve fare, è leggere il libretto, prendere lo spartito e mettersi al pianoforte e studiare NOTA PER NOTA la propria parte (in caso di una romanza da camera) o, nel caso di un’opera intera, di leggere anche le altre parti : non è ammissibile che in palcoscenico non si sappia cosa avvenga nella scena precedente o nell’atto seguente, anche se non siamo presenti. Questo per allacciarmi alla domanda: Purtroppo il rischio di ascoltare le esecuzioni storiche, è quella di imitare questo o quel cantante e di perdere la propria natura. Anche perché imitando, si rischia (sicuramente in maniera inconsapevole), di imitare anche i difetti e di diventare delle “macchiette”. Lo si riscontra negli interpreti delle “nuove generazioni” che studiano romanze o ruoli interi ascoltandoli da youtube.
E’ sicuramente interessante vedere come una Tebaldi o un Bastianini abbiano risolto una frase o un’intenzione. Ma la Musica è una cosa così personale che la stessa romanza può avere sfumature diverse anche cantata dallo stesso interprete, in momenti diversi.

Che rapporto avete con il pubblico in sala? A differenza degli strumentisti, chi canta musica per voce e pianoforte, oppure pezzi operistici in versione da concerto, ha lo sguardo rivolto alla platea. Le reazioni che questa può avere vi influenzano? Riuscite a percepire gli umori che possono pervaderla? Oppure, in realtà, guardate senza vedere?

Credo dipenda dall’interprete. Certo, non si può guardare senza vedere. O meglio, si può fare ma non si riesce effettivamente: Si sentono gli occhi addosso del pubblico e non si può “passare oltre”, la nostra attenzione viene catalizzata. Anzi, soprattutto in casi di sale da concerto contenute, si forma quasi un’interazione tra interprete e pubblico: Ci sono interpreti che, per vincere questo “impatto” con il pubblico, cantano con gli spartiti sul leggio, pur conoscendo le parti, per creare una sorta di “rete di salvataggio” delle proprie emozioni. Come cantanti, noi siamo strumento e strumentista e ogni nostra emozione è messa a nudo davanti al pubblico senza protezione. Emotivamente è molto provante, ma molto, molto appagante.

Domande di Marco Parigi

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