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UOMO SENZA META: UNA RIFLESSIONE SULL’AMBIGUITA’ DEL COMPORTAMENTO UMANO

Un letto di ospedale calato dal soffitto, pedane smontate sotto ai piedi degli attori, una parete che chiude la scena e lascia i protagonisti sull’orlo del palcoscenico, così vicini al pubblico da sentirli respirare. Una scenografia studiata per creare vicinanza ai personaggi, ai loro drammi consapevoli e inconsci, drammi senza nomi. L’unico nome è quello di Pietro, il protagonista. Gli “altri” personaggi sono sostantivi (fratello, moglie, figlia, sorella, assistente) identificabili solo nella loro intima coesistenza con Pietro, ma difensori tenaci del loro ruolo di fratello, moglie, figlia, sorella e assistente. Pietro è un uomo potente, ha raggiunto il successo economico, ha giocato con la sua avidità ma ha perso al gioco della vita. Pietro, dopo trent’anni dalla fondazione di una grande città sui terreni incontaminati di un fiordo norvegese, progetto creato e sviluppato da lui stesso, si trova in una stanza di ospedale circondato da strani legami familiari, gli unici: la ex moglie, un fratello che forse non è il vero fratello, una figlia che prima non sapeva di avere. Si parla di soldi, tanti soldi, di eredità da spartire, di torti subiti, di torti inflitti, di torti da infliggere. Ognuno rivendica ciò che ha perso, che avrebbe potuto avere senza l’altro; urlano desideri non ascoltati, amori non dichiarati o dimenticati, purgati dal denaro. L’ambiguità del comportamento umano esce prepotente, crudele nella sua smania di successo e disperata nel suo angosciato tentativo di riempire il vuoto del potere con sentimenti familiari: un marito con la moglie, un fratello con una sorella, un padre con una figlia. La relazione con il potere è più forte della relazione interpersonale, la necessità del contatto umano si trasforma in disputa, poi in isolamento, solitudine, perdita del sé. I personaggi si perdono a tal punto da non ricordarsi più chi erano in origine, nemmeno il loro nome, come se la loro identità si fosse trasformata in un grande cumulo rancoroso e fluttuante di soldi e buio.
Uomo senza meta, scritto da Arne Lygre, per la regia di Giacomo Bisordi, è un dramma che obbliga a riflettere, non lascia tregua allo spettatore, lo rende partecipe di dialoghi feroci, di dispute tra dominante e sottomesso. Una donna è sdraiata a terra, un uomo è in piedi sopra di lei, tutto si fa buio, lo spettacolo è finito. Il pubblico ci impiega qualche secondo prima di applaudire, il pubblico ci impiega qualche secondo a capire che non è dentro a quel dramma. La regia di Bisordi si muove con cognizione conforme al palcoscenico dell’Argentina, ne trasmette la profondità, quasi a simboleggiare l’abisso dei comportamenti umani. I dialoghi non sono retorici e gli attori convincono lo spettatore che il dramma che sta ascoltando, lo riguardi, che sia reale.

Di Arianna Lombardelli

Uomo senza meta di Arne Lygre
Traduzione Graziella Perin
Regia Giacomo Bisordi
con Francesco Colella (Pietro), Aldo Ottobrino (Fratello), Monica Piseddu (Moglie), Anna Chiara Colombo (Figlia), Silvia D’Amico (Sorella), Giuseppe Sartori (Proprietario/Assistente)
Costumi Anna Missaglia – luci Vincenzo Lazzaro
Aiuto regia Fausto Cabra – assistente alla regia Angelo Galdi
I diritti dell’opera Uomo senza meta di Arne Lygre sono concessi da Colombine Teaterförlag, Stoccolma
In collaborazione con Zachar International, Milano
Produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale

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